martedì 26 gennaio 2016

8 indizi per riconoscere il pallavolista dalle ginocchiere che indossa

Ciò che contraddistingue i giocatori di pallavolo sono le ginocchiere. 
Diciamocelo: a molti neanche servono. La maggior parte dei maschietti ha infatti deciso di non indossarle, non perdendo occasione per mostrare fieri le proprie ferite di guerra; le donne, invece, ne fanno una loro prerogativa. Le donne che non le usano, invece, sono inguardabili.

Esistono molteplici tipi di ginocchiere sul mercato e ad ognuna di essere corrisponde un tipo di pallavolista. Ecco dunque una lista in 8 punti per fare chiarezza: dimmi che ginocchiere usi e ti dirò che giocatore sei.

1) Ginocchiere da Minivolley: per chi inizia la pratica pallavolistica in tenera età sono un must; il problema è che, chiuso il ciclo della palla rilanciata, molti nostalgici si ostinano a ricomprarle. Lasciate perdere: è gente che prende poco sul serio quello che sta facendo. Può capitare la prestazione della vita, ma il più delle volte non si butteranno neanche: sanno anche loro che le ginocchia faranno male comunque.
2) Ginocchiere Kipsta: da quando Decathlon ha invaso il mercato della pallavolo, le ginocchia non sono più le stesse. Sfido chiunque a non aver giocato, almeno una volta, con un portatore sano di ginocchiere Kipsta. Sapete benissimo di cosa sto parlando: quelle ginocchiere spesse quanto una sottiletta. Inutili. Così come inutile è sperare in un tuffo del proprietario.
3) Ginocchiere Nike: vi racconto una storia: fino al lontano 2004 la Nike era sponsor tecnico delle Nazionali di volley italiane. I modelli Mikasa e Errea sono nati da lì. Il portatore di ginocchiere Nike è probabilmente stagionato, mette la sua esperienza al servizio dei compagni e si vocifera che i suoi anni di attività possano essere contati in cm che differenziano la circonferenza attuale delle sue ginocchiere rispetto a quella originaria. Sì, perché non le ha mai cambiate.
4) Ginocchiere Molten: poco diffuse ormai, ma in auge nella pallavolo under di qualche anno fa. Consistevano in uno strato di gommapiuma spesso almeno 4 cm. Antiestetiche, ma funzionali: buttati che è morbido.
5) Ginocchiere Mikasa: il proprietario è sulla trentina. Sì, perché la moda Mikasa è nata negli anni d'oro della Sisley Treviso e del Trentino Volley, quando in serie A si usavano quelle divise così attillate da somigliare a maglie termiche. Purtroppo sì, ho visto le stesse divise nei campionati di divisione. È stato difficile arrivare fin qui per raccontarvelo.
6) Ginocchiere Errea, bianche, nere e blu: simile al portatore di ginocchiere Mikasa, ma più giovane. Prende il suo impegno sul serio e non rinuncia a spiattellarsi sul terreno, se serve. Generoso.

7) Ginocchiere Errea, fluo: novità dell'anno scorso, ha invaso tutti i palazzetti italiani. Le principali vittime sono state i fashion blogger wannabe: magari non tecnicamente impeccabili, ma aggiungeranno un tocco di stile al vostro team.

8) Ginocchiere Mikasa, fluo: vedi punto 7, ma sulla trentina. Perché? Vedi punto 5.

 Immagini tratte da Google Immagini.


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martedì 12 gennaio 2016

Italia, che impresa! || Anche chi critica va in Giappone.

Più che un torneo, è sembrato un gioco al massacro
Le qualificazioni olimpiche europee sono state soprattutto questo e probabilmente dovremmo anche ringraziare la Serbia che, se non si fosse qualificata alla Coppa del Mondo, avrebbe causato un'altra vittima illustre: noi.
Un bronzo che vale Giappone
Eppure ce l'abbiamo fatta, eppure siamo ancora in corsa, eppure andiamo in Giappone dove, facendo i dovuti scongiuri, sarà tutto più facile. Ci siamo arrivati non grazie al bel gioco, è chiaro, ma grazie al grande cuore e a un coraggio fuori dal comune, considerando che schieravamo in campo due minorenni. Il cammino dell'Italia è stato in salita fin dalle convocazioni, a partire dal mancato supporto degli italiani: nonostante ciò, come da tradizione, anche chi critica è salito sul carro dei vincitori: anche chi remava contro, adesso, vola in Giappone. È stato difficile a partire dal 2013 quando, con un progetto diverso dopo l'altro, non si è mai fatta giocare insieme la squadra che poi sarebbe andata in Brasile, ma - adesso - è inutile pensarci ed è fondamentale guardare avanti.

Diouf, Danesi, Egonu e Orro: il futuro è azzurro
L'era delle big è finita, questo insegna il torneo appena concluso. Non per demerito, ma perché c'è chi, grazie alla spregiudicatezza della sua giovane età, spinge per guadagnarsi un posto nel volley che conta. È il caso di Orro, alzatrice diciassettenne che, nei replay, tanto ricorda sua maestà Eleonora Lo Bianco nella tecnica di palleggio, ma che comunque deve ringraziare Ferretti, pronta ad aiutarla nei momenti più caldi; è il caso di Egonu, a cui sarà difficile scucire il posto da titolare, soprattutto se la rivale continuerà ad essere una spenta Lucia Bosetti; è il caso di Valentina Diouf, che nonostante conquisti e ceda in continuazione il campo, ha sempre la pazienza di mettersi in disparte per poi aspettare l'occasione giusta; è il caso di Danesi, unica centrale con un anticipo in primo tempo da maschile e che sarà la degna compagna di una ormai già esplosa Cristina Chirichella.

Personalmente credo sia questa la strada da percorrere: tutti in direzione Via delle Giovani. Perché se è vero che per Rio2016 saranno ancora acerbe - forse! - per il 2020 o, meglio ancora, il 2024 (chissà, magari a Roma) diventeranno potenze mondiali. Nel breve periodo, comunque, non si può prescindere da alcune senatrici rivelatesi fondamentali nel tentativo di creare un equilibrio di gioco che, se allenato con continuità, potrà risultare vincente: parlo di Monica De Gennaro, vittima di influenza, e Stefania Sansonna (forse non nella sua forma migliore) a cui l'Italia non ha ancora trovato degne sostitute; parlo, soprattutto, di Antonella Del Core che, fisicamente meno presente in prima linea, si è messa a disposizione per svolgere il lavoro sporco e inosservato nelle retrovie, garantendo alle altre la possibilità di pensare solo ad attaccare; in una parola sola: capitano.

Semplicemente squadra
È quindi un terzo posto di squadra: un terzo posto che quegli italiani, allenatori da bar, probabilmente non si meritano; un terzo posto che, per chi ama queste ragazze incondizionatamente, vale oro. Da qui a maggio ci sarà tempo per esaminare, rivedere e correggere il tiro; intanto, comunque, sorridiamo, perché queste ragazzine hanno fatto l'impresa. Un'impresa di chi, aggrappato a un sogno, non lo molla neanche davanti a 7500 persone che tifano contro. 

E rivediamo queste regole di qualificazione, perché neanche la Turchia merita di stare fuori dai Giochi Olimpici.



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